Dopo un piacevole colloquio, accettiamo il consiglio della
gentilissima ragazza della reception dell'hotel e acquistiamo un passaggio-tour
di un giorno, destinazione Kanchanaburi.
Kanchanaburi è il nome di una località thailandese e di
tutta la regione in cui è situata. La città di Kanchanaburi si trova a 129
chilometri a nord-ovest di Bangkok, alla confluenza delle valli dei fiumi Kway
Noi e Kway Yai ed è conosciuta principalmente per il celebre ponte dell’omonimo
film Il ponte sul fiume Kway.
Tutta la zona è un'importante
meta turistica grazie alle sue innumerevoli bellezze naturali: parchi
nazionali, fiumi, cascate, templi. Alcune tra le attrattive più rinomate di
questa regione, oltre al suddetto ponte, sono il cimitero di guerra degli
alleati (seconda guerra mondiale), le cascate di Saiyoknoi, il tempio delle
tigri, i campi degli elefanti, dove è possibile fare brevi escursioni nella
giungla a dorso dei pachidermi.
Il percorso, in comodissimo minivan, ma ugualmente faticoso, prevede le seguenti tappe:
Fiume Kway e cimitero di guerra alleato (II guerra mondiale)
Visita al museo di guerra Jeath
Visita al ponte sul Fiume Kway
Visita al campo degli elefanti e breve escursione a dorso dei pachidermi
Sosta per il pranzo, intorno alle 13
Visita alle cascate Saiyoknoi
Visita al Tempio delle tigri
Ritorno in hotel intorno alle 20:00
In un paio d'ore di viaggio, arriviamo al Fiume Kway e al Cimitero di guerra dei prigionieri alleati.
https://youtu.be/uW-DahcNQv8?list=RDuW-DahcNQv8
La tristemente
famosa ferrovia Tailandia-Birmania, costruita dai prigionieri di guerra dei
giapponesi, fu un progetto del comando di occupazione, “spinto” dalla necessità
di incrementare le comunicazioni a supporto della grande armata giapponese in
Birmania.
Durante
la sua costruzione morirono circa 13-15.000 prigionieri (americani,
olandesi e del Commonwealth), che furono sotterrati lungo la ferrovia, e un
numero di civili, stimato fra 80000 e 100000, principalmente a causa del lavoro
forzato, deportati dalla Malesia e dalle Indie Olandesi oppure reclutati in
Tailandia e Birmania.
Due
comandi di lavoro, uno con base in Siam e l’altro in Birmania, lavorarono sui
due opposti terminali della linea verso il centro. I giapponesi volevano
terminare la ferrovia in 14 mesi e i lavori cominciarono in ottobre 1942. La
linea, lunga 424 chilometri, fu completata in dicembre 1943.
Dopo la fine della guerra, da parte della Army Graves
Services, furono raccolti, dai cimiteri di campo o da luoghi isolati lungo la
ferrovia, tutti i resti di quelli che erano morti durante la costruzione e il
mantenimento della ferrovia (ad eccezione degli americani, che furono
rimpatriati), e trasferiti in tre cimiteri di guerra: Chungkai e Kanchanaburi
in Tailandia e Thanbyuzayat in Birmania.
Nel cimitero di Kanchanaburi ci sono 6982 tombe, che
contengono i resti di prigionieri australiani, britannici e olandesi.
Altri trecento uomini, la
maggior parte morti per un’epidemia di colera, nel vicino campo Nieke, nel
maggio-giugno 1943, furono cremati e ora le loro ceneri riposano in due tombe
di questo cimitero. I nomi di questi uomini sono inscritti su pannelli nel
padiglione principale.
Queste rare foto d'archivio e le ricostruzioni in scala, di gusto discutibile, ma realistiche, lasciano intuire il livello di ferocia esercitata dagli occupanti giapponesi sui prigionieri. |
La fanciulla del click, in azione all'interno del Museo. |
Manichini eloquenti. |
Vari tipi di fucili, in uso durante la guerra, fra i quali alcuni Winchester. |
Nella realtà questa è una ricostruzione del famoso ponte; quello autentico si trovava qualche centinaio di metri più a monte, rispetto al corso del fiume. |
Dopo circa un'altra ora di minibus, arriviamo al campo degli elefanti. Qui è possibile fare una breve escursione a dorso dei pazienti bestioni, docili come cagnolini, al comando dei loro mahout. |
L'imbarcadero per il rafting: un giretto per prendere un poco d'aria fresca e rilassarsi |
Dopo un'ora di pausa pranzo, in una mezz'oretta arriviamo alle cascate Sai Yok Noi; niente di eccezionale. |
Nonostante il biglietto d'ingresso fosse "salato", c'era una gran ressa e, per avvicinarsi alle tigri,
c'erano due file:
una semplicemente per fotografarle e l'altra per farsi
ritrarre, assieme ai grandi felini. Noi abbiamo scelto di fare semplicemente
qualche foto, perché un animale selvaggio è sempre imprevedibile. Lo è un
gatto, figuriamoci una tigre. Tra le persone di servizio c'era una ragazzina
francese, che parlava perfettamente italiano; giramondo di mestiere, si era
innamorata delle tigri, si era aggregata al team e viveva là da tempo. Noi abbiamo espresso i nostri
dubbi sul fatto che gli animali non fossero sedati, ma la ragazza a spergiurare
che no, che la loro docilità era soltanto frutto di addestramento.
Recentemente, dietro segnalazioni e denunce di animalisti locali e di autorità, la polizia è
intervenuta e ha scoperto un museo degli orrori. Il sito è stato chiuso e gli
animali saranno ricollocati in rifugi per il loro recupero ad una qualche forma
di libertà, almeno dai sedativi e dalle catene.
Intorno alle 17:00 ripartiamo alla volta di Bangkok e ci riaffacciamo alla finestra del nostro hotel. |
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