Il blog di Angela e Giorgio
fotografi erranti, dalle Americhe all'Asia, alla ricerca di istanti di Bellezza da catturare e raccontare

Ideazione e progetto grafico: Monica eFFe

Traduzioni all'inglese: Sara Russell e Monica eFFe




“Il vero nucleo di base dello spirito vivente di un uomo è la sua passione per l'avventura. La gioia della vita proviene dai nostri incontri con nuove esperienze e, quindi, non c'è gioia più grande che avere un orizzonte che cambia incessantemente, per ogni giorno avere un nuovo e diverso sole. Se vogliamo ottenere di più dalla vita, dobbiamo perdere l’inclinazione per la nostra monotona sicurezza e adottare uno stile di vita più improvvisato, che in un primo momento ci sembrerà un poco folle. Ma, una volta che ci siamo abituati ad un tale stile di vita, comprenderemo il suo pieno significato e la sua incredibile bellezza. Non fermarsi, non stare seduti in un solo posto. Spostarsi, essere vagabondi, fare di ogni giorno un nuovo orizzonte”.

(Christopher McCandless)*

*Da ...”INTO THE WILD” di Jon Krakauer.











lunedì 30 maggio 2016

KANCHANABURI TOUR




Dopo un piacevole colloquio, accettiamo il consiglio della gentilissima ragazza della reception dell'hotel e acquistiamo un passaggio-tour di un giorno, destinazione Kanchanaburi.

Kanchanaburi è il nome di una località thailandese e di tutta la regione in cui è situata. La città di Kanchanaburi si trova a 129 chilometri a nord-ovest di Bangkok, alla confluenza delle valli dei fiumi Kway Noi e Kway Yai ed è conosciuta principalmente per il celebre ponte dell’omonimo film Il ponte sul fiume Kway.
Tutta la zona è un'importante meta turistica grazie alle sue innumerevoli bellezze naturali: parchi nazionali, fiumi, cascate, templi. Alcune tra le attrattive più rinomate di questa regione, oltre al suddetto ponte, sono il cimitero di guerra degli alleati (seconda guerra mondiale), le cascate di Saiyoknoi, il tempio delle tigri, i campi degli elefanti, dove è possibile fare brevi escursioni nella giungla a dorso dei pachidermi.

Il percorso, in comodissimo minivan, ma ugualmente faticoso, prevede le seguenti tappe:


Partenza alle 7:30 dall'hotel 
Fiume Kway e cimitero di guerra alleato (II guerra mondiale)
Visita al museo di guerra Jeath
Visita al ponte sul Fiume Kway
Visita al campo degli elefanti e breve escursione a dorso dei pachidermi
Sosta per il pranzo, intorno alle 13
Visita alle cascate Saiyoknoi
Visita al Tempio delle tigri
Ritorno in hotel intorno alle 20:00





In un paio d'ore di viaggio, arriviamo al Fiume Kway e al Cimitero di guerra dei prigionieri alleati.


https://youtu.be/uW-DahcNQv8?list=RDuW-DahcNQv8

La tristemente famosa ferrovia Tailandia-Birmania, costruita dai prigionieri di guerra dei giapponesi, fu un progetto del comando di occupazione, “spinto” dalla necessità di incrementare le comunicazioni a supporto della grande armata giapponese in Birmania.
Durante la sua costruzione morirono circa  13-15.000 prigionieri (americani, olandesi e del Commonwealth), che furono sotterrati lungo la ferrovia, e un numero di civili, stimato fra 80000 e 100000, principalmente a causa del lavoro forzato, deportati dalla Malesia e dalle Indie Olandesi oppure reclutati in Tailandia e Birmania.
Due comandi di lavoro, uno con base in Siam e l’altro in Birmania, lavorarono sui due opposti terminali della linea verso il centro. I giapponesi volevano terminare la ferrovia in 14 mesi e i lavori cominciarono in ottobre 1942. La linea, lunga 424 chilometri, fu completata in dicembre 1943.
Dopo la fine della guerra, da parte della Army Graves Services, furono raccolti, dai cimiteri di campo o da luoghi isolati lungo la ferrovia, tutti i resti di quelli che erano morti durante la costruzione e il mantenimento della ferrovia (ad eccezione degli americani, che furono rimpatriati), e trasferiti in tre cimiteri di guerra: Chungkai e Kanchanaburi in Tailandia e Thanbyuzayat in Birmania.
Nel cimitero di Kanchanaburi ci sono 6982 tombe, che contengono i resti di prigionieri australiani, britannici e olandesi.
Altri trecento uomini, la maggior parte morti per un’epidemia di colera, nel vicino campo Nieke, nel maggio-giugno 1943, furono cremati e ora le loro ceneri riposano in due tombe di questo cimitero. I nomi di questi uomini sono inscritti su pannelli nel padiglione principale.



























































































































































































































Queste rare foto d'archivio e le ricostruzioni in scala, di gusto discutibile, ma realistiche, lasciano intuire il livello di ferocia esercitata dagli occupanti giapponesi sui prigionieri. 












































La fanciulla del click, in  azione all'interno del Museo.


Manichini eloquenti.

























Vari tipi di fucili, in uso durante la guerra, fra i quali alcuni Winchester.



















Nella realtà questa è una ricostruzione del famoso ponte; quello autentico si trovava qualche centinaio di metri più a monte, rispetto al corso del fiume.

Dopo circa un'altra ora di minibus, arriviamo al campo degli elefanti. Qui è possibile fare una breve escursione a dorso dei pazienti bestioni, docili come cagnolini, al comando dei loro mahout.
L'imbarcadero per il rafting: un giretto per prendere un poco d'aria fresca e rilassarsi




Su questo zatterone si viene spinti a monte per qualche chilometro da una barca a motore; quindi si ridiscende lasciandosi trasportare dalla corrente, mentre il "vogatore" tiene la zattera in posizione. Tutto qui.
Dopo un'ora di pausa pranzo, in una mezz'oretta arriviamo alle cascate Sai Yok Noi; niente di eccezionale.
Un'altra oretta di viaggio e arriviamo al tanto decantato "Tempio delle tigri". Le foto che seguono possono dare una chiara idea della credulità e della stupidità di certi "viaggiatori" (meglio dire turisti). 

Nonostante il biglietto d'ingresso fosse "salato", c'era una gran ressa e, per avvicinarsi alle tigri, c'erano due file:
una semplicemente per fotografarle e l'altra per farsi ritrarre, assieme ai grandi felini. Noi abbiamo scelto di fare semplicemente qualche foto, perché un animale selvaggio è sempre imprevedibile. Lo è un gatto, figuriamoci una tigre. Tra le persone di servizio c'era una ragazzina francese, che parlava perfettamente italiano; giramondo di mestiere, si era innamorata delle tigri, si era aggregata al team e viveva là da tempo. Noi abbiamo espresso i nostri dubbi sul fatto che gli animali non fossero sedati, ma la ragazza a spergiurare che no, che la loro docilità era soltanto frutto di addestramento. Recentemente, dietro segnalazioni e denunce di animalisti locali e di autorità, la polizia è intervenuta e ha scoperto un museo degli orrori. Il sito è stato chiuso e gli animali saranno ricollocati in rifugi per il loro recupero ad una qualche forma di libertà, almeno dai sedativi e dalle catene.

Intorno alle 17:00 ripartiamo alla volta di Bangkok e ci riaffacciamo alla finestra del nostro hotel.




   


























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