"Le mani che aiutano, sono più sacre delle bocche che pregano."
(Sai Baba)
Piazzale della Terminal de Autobuses. |
Uno scorcio della nostra cameretta, nell'Hostal La Soñada, uno dei più belli, fra quanti abbiamo visitato. |
La stessa camera, vista dalla porta d'ingresso. |
Uno scorcio del bel patio, con in primo piano una rigogliosa pianta di vite. |
L'uva quasi matura. |
Una zona della sala soggiorno-pranzo. Angela al lavoro con il suo PC portatile. |
La parte del patio che si vede dalla porta su strada. La facciata esterna dell'Hostal. |
Un'altra zona del soggiorno-pranzo. |
Humahuaca è
un pueblo di circa
6.000 anime in parte quechua; è il
più popolato fra Jujuy, capoluoguo di provincia, e la frontiera con la Bolivia,
ma anche il più autoctono, perché si mantiene relativamente chiuso all'ingresso
di altra gente;
ed è quello a più alta densità culturale, l'ultimo insediamento prima di arrivare a la Puna, il più esteso altipiano del mondo, compreso fra Argentina e Cile, Bolivia e Perù.
ed è quello a più alta densità culturale, l'ultimo insediamento prima di arrivare a la Puna, il più esteso altipiano del mondo, compreso fra Argentina e Cile, Bolivia e Perù.
Costruito in adobe, il paese si stringe
attorno alla sua chiesa, dedicata alla madonna della Candelaria (elevata nel
1641), al Cabildo (municipio)
con una torre campanaria dotata di orologio, e a una piazzetta con qualche
pianta. Ogni mattina al rintoccare delle dodici, da una nicchia sotto
l'orologio esce l'immagine di San Francesco Solano che benedice i trepidanti
visitatori.
La torre campanaria con la nicchia del Santo |
Sarà stato intorno alle tre del pomeriggio; eravamo seduti
in un piccolo ristorante, vicino alla porta aperta che dà sulla strada, quando
è entrato questo fanciullo: viso pulito, occhi vivaci, espressione fresca e
intelligente.
Con incredibile disinvoltura ci ha chiesto di poter cantarci
una copla (breve composizione poetica in strofe, che viene recitata o cantata),
in cambio di un poco di denaro.
Di fronte a tanto "sfacciato" candore, abbiamo
acconsentito, chiedendo alla dueña del ristorante di spegnere per favore
l'impianto stereo, che stava diffondendo musica andina.
Il ragazzino ha cominciato, ma la sua "professionalità" non era all'altezza della sua faccia tosta e,
più che cantare, ci ha recitato alcune strofe, in uno spagnolo frettoloso, poco
comprensibile anche per gli ispanofoni.
Tutti lo abbiamo applaudito ugualmente, ricompensandolo poi
con una manciatina di pesos.
Ha salutato, togliendosi il berrettino, e se n'è andato
contento.
Yo jamàs fui un
niño
Mi sonrisa es
seca y mi rostro es serio,
mis espaldas
anchas, mis musculos duros
mis manos
partidas por el crudo frio;
solo ocho años tengo,
pero no soy un niño.
Detrás de mis
ovejas ando per el cerro
Y cargau mi leña
bajo hasta mi puesto
A soplar el
fuego, a mismiar mi soga;
Y no tengo tiempo
para ser un niño.
Los años caminan
y todo es lo mismo,
moti, sal con
lechi son mis caramelos,
mi juguete un
chivo o el pastor ovejero
poco tiempo
tengo, pero no soy un niño.
Mi avión de
juguete es un cuervo viejo,
mi camión un
burro de trotar muy lento,
mi amigo es el
zorro, que roba mis cabras
y es todo mi consuelo,
de poder ser niño.
Mi rostro es de
viejo y mi andar de abuelo,
mis callos
partidos por piedras del cerro,
mi poncho rotoso,
por el fuerte viento,
todo eso me dice,
que no soy un niño!
Y no hay reyes magos,
no hay días del
Niño,
jamas tuve suerte
de poder ser
niño.
(Fortunato Ramos)
Io non sono mai stato un bambino
Il mio sorriso è secco e il mio viso serio,
le mie spalle larghe, i miei muscoli duri;
le mie mani screpolate per il crudo freddo,
ho solo otto anni, ma non sono un bambino.
Dietro alle mie pecore vado per il monte
E caricata la mia legna, scendo al mio rifugio
A soffiare sul fuoco, a ……. la mia corda,
e non ho tempo per essere un bambino.
Gli anni camminano e tutto è lo stesso,
….., sale con latte sono le mie caramelle,
il mio giocattolo una capra o il cane pastore,
ho poco tempo, ma non sono un bambino.
La mia faccia è da vecchio e il mio andare da nonno,
i miei calli tagliati dai sassi del monte,
il mio poncho cencioso per il forte vento,
tutto questo mi dice che non sono un bambino.
E non ci sono Re Magi,
non ci sono Giorni del Bambino,
mai ho avuto la fortuna
di poter essere bambino.
Non erano passati dieci minuti, stavamo ancora conversando
sull'intraprendenza di quel bambinetto, quando è apparso sulla porta un secondo
ragazzino, El Còquena (Cuidador de vicuñas =
pastore di vigogne).
Leggermente più scuro di pelle, viso intelligente ma
"sofferto", con un'espressione di persona più adulta della sua apparente
età; forse "invecchiato", suo malgrado, anzitempo.
"Si sono passati la voce", abbiamo pensato, ma alla sua
medesima richiesta, di cantarci qualche copla,
abbiamo ancora una volta accettato.
Il ragazzino si è esibito, con sorprendente maestria e con bella
voce, prima in un canto molto triste, poi nella recitazione di una poesia, con una
professionalità e spontaneità da fare invidia a molti attorucoli della
nostra T.V.
Anch'egli è stato applaudito da tutti, ha salutato con un inchino,
e se n'è andato con il suo gruzzoletto, raccolto in precedenza tra i presenti,
con il suo cappelluccio.
La sera successiva è ricomparso all'ora di cena: lo abbiamo
invitato al nostro tavolo.
In seguito abbiamo poi chiesto, a chi lo conosceva, quanti fratellini avesse: ci hanno detto .... molti, ma non hanno saputo precisare il numero.
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