Sunday 10 March 2013
"L'avventura non esiste. È nella fantasia di chi la insegue e, non appena riesce a toccarla con un dito, svanisce per fare capolino da tutt'altra parte, sotto una diversa forma, ai limiti dell'immaginazione".
(Pierre Mac Orland)
Già a Salta e poi in seguito a Humahuaca, sia negli uffici d'informazione turistica, sia le persone con le quali avevamo avuto modo di conversare, ci avevano fatto elogi sperticati di questo pueblo, "molto particolare".
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A 36 km da Humahuaca, Iturbe, un tempo importante stazione ferroviaria |
Anche tutte le informazioni cartacee in nostro possesso ne tessevano le lodi con entusiasmo e in maniera molto convincente.
Per questo non abbiamo avuto dubbi o titubanze, di fronte alla difficoltà del viaggio, per tre/quarti su strada bianca, con una corriera assai malmessa, se non precaria.
Forse perché, quando l'aspettativa è grande, la realtà finisce poi sempre per deluderti ...
Abbiamo comperato il biglietto dell'autobus il giorno prima, per avere un posto in "prima fila"; ma, con sorpresa, il numero non corrispondeva poi al sedile immaginato.
L'autobus, assai sgangherato, parte comunque puntualissimo alle 8:15 (ora prevista d'arrivo a Iruya 11:20) esce dalla città e prende verso nord per la Ruta 9.
La strada è ampia e asfaltata e il viaggio relativamente comodo, nonostante la qualità del mezzo il quale, dopo una ventina di chilometri, abbandona la Ruta 9, gira a destra e imbocca una stradetta polverosa in ghiaia (Ruta 13, poi Ruta 133) che non lascia bene sperare.
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Le rotaie, semisepolte dalla polvere. |
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Torre per il rifornimento dell'acqua alle locomotive a vapore. |
L'avanzare dell'autobus si fa molto lento e s'inoltra sempre più in un paesaggio montagnoso arido, fatto di colline moreniche con pochissima vegetazione. Man mano che avanziamo, il territorio si fa sempre più brullo e la strada, polverosa e piena di buche, si snoda in mezzo a colline e montagne di sassi e pietre, con assenza quasi totale di verde; le uniche piante visibili dall'autobus sono gli enormi cactus (cardones), che richiamano visioni di pellicole western. Poi comincia a salire serpeggiando e l'autobus rallenta
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Uno dei tanti punti della strada, interrotta dai torrenti che scendono dalle montagne; quando l'acqua è bassa gli automezzi attraversano a guado.
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Siamo nel mezzo del guado |
ancor più la sua marcia, procedendo tra pietraie e sassaie, sassaie e pietraie, per chilometri e chilometri, con lunghi tratti a passo d'uomo. Si sale, si sale senza sosta, per tornanti e contro tornanti a gomito, a volte sull'orlo del precipizio, e, quando si arriva alla vetta, si ricomincia a discendere a valle, di nuovo aggirando la montagna, con curve e contro curve interminabili. Questo salire e scendere si ripete più volte (passando dai circa tremila ai circa mille metri d'altura), mentre il profilo dell'orizzonte muta incessantemente.
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Un altro dei tanti torrenti che abbiamo incontrato lungo il cammino. |
In questo territorio, praticamente privo di vegetazione, durante i rari, violenti temporali, l'acqua acquista una velocità inaudita, formando torrenti che scavano il loro percorso in mezzo alle rocce e ai sassi e attraversano la strada, priva di ponti, per poi esaurirsi rapidamente; non si esaurisce invece il flusso di acqua alimentato da sorgenti o dallo sciogliersi delle nevi dei ghiacciai.
Cosicché, quando gli automezzi arrivano a questi fiumetti residui, devono guadarli, entrando con le ruote nell'acqua, che a volte arriva a toccare il fondo dell'automezzo. Ne abbiamo attraversati tanti.
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Un povero insediamento umano. |
Di tanto in tanto incontriamo qualche piccola zona meno arida, dove cresce un tipo di vegetazione bassa, stepposa; e lì che si possono vedere piccoli gruppi di guanachi che pascolano, o anche famigliole di ñandù (nandù: grande uccello inetto al volo, simile allo struzzo), dei quali non è dato sapere cosa trovino da mangiare in quel territorio semi lunare.
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Sassaie a perdita d'occhio. |
Anche se il viaggio è molto disagevole, rappresenta comunque la parte più interessante di questa escursione alla cittadina di Iruya la quale, come già abbiamo detto, ci ha alquanto delusi.
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Qui siamo a circa tremila metri, più in alto delle nuvole. |
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Uno dei tanti tornanti a U; meno pericoloso, perché il dirupo è all'interno della curva |
Si tratta di un piccolo pueblo, abbarbicato da un lato ad un costone di montagna e sospeso dall'altro sul bordo del canyon, formato da tre quattro stradine con pavimentazione di sassi, sconnessa e mal tenuta; una piccola piazzetta all'ingresso del pueblo, con una deliziosa chiesetta; numerose casette con un qualche interesse architettonico tradizionale.
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Uno dei tanti giovani cicloturisti, incontrati su tutte le strade del continente |
Paese di capre e di ex caprai; tutto qui.
Però è doveroso dire che, forse, la delusione deriva in parte dal fatto che il giorno della nostra visita non era giorno di feria, quando nelle poche stradine e nella piccola piazza si riversano tutti gli ambulanti e gli artigiani per vendere le loro mercanzie.
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Fra pochi chilometri entreremo nella nuvola, per ridiscendere a valle; a sinistra il precipizio. |
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Siamo arrivati. Questa è la fermata degli autobus, vista dalla parte opposta alla direzione d'arrivo, dove la corriera si è posizionata, dopo una complicata manovra d'inversione di marcia, a causa della strada stretta, tra montagna e precipizio. |
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Zona Urbana. Il cartello fa un po' sorridere; ma ne abbiamo visti altri, in luoghi dove c'erano due/tre baracche di legno e adobes. |
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La semplice, graziosa chiesetta; ancor più bella dentro.
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Finestra che da sul patio interno del complesso della Parrocchia |
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Il nuovo, moderno ospedale, in calle San Martin |
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Una delle ripide stradine in empedrado. |
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Ingresso ad una modesta abitazione, in parte ancora in adobe. |
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Insegna di uno dei molti ristorantini improvvisati. |
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La povera dimora, in sasso e adobe, di uno degli artigiani locali. |
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Pittoresca insegna di una "casa famiglia":specie di B&B. |
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Altro B&B |
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Toponomastica: calle Retiro |
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Uno dei vari comedores, ristorantini a conduzione familiare |
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B&B |
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Anziana Aymara in costume tipico |
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Altra anziana Aymara |
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Vista della calle San Martin dall'alto, verso la piazzetta della chiesa |
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Giovane Aymara, con l'immancabile neonato |
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Non sempre i "nativi" (autoctoni; vale a dire la totalità della popolazione), sono accoglienti; anzi a volte si mostrano alquanto aggressivi. Ingrandendo la foto, si può notare che la "signora" ci ha appena scagliato un sasso; anche se l'obbiettivo non era espressamente puntato su di lei. |
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Hospedaje El Condor (Wichiku); uno dei tanti nidi d'aquila, trasformati in alloggio per turisti. |
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Immagine della Vergine del Rosario: in azulejos, nella piazzetta a Lei dedicata. |
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Bambina e nonna Aymara: due mondi. |
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L'accesso ad una delle casette più "borghesi" |
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Un'altra delle erte stradine assai sconnesse |
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Ingresso al Parque Nuestra Señora del Rosario, di proprietà della Parrocchia |
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Coppia di indios in Calle San Martin. |
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I bambini possono giocare nelle strette stradine, quasi tutte solo pedonali.
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La passerella sospesa a funi d'acciaio, inaugurata di recente, per collegare le due sponde del canyon. |
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