Il blog di Angela e Giorgio
fotografi erranti, dalle Americhe all'Asia, alla ricerca di istanti di Bellezza da catturare e raccontare

Ideazione e progetto grafico: Monica eFFe

Traduzioni all'inglese: Sara Russell e Monica eFFe




“Il vero nucleo di base dello spirito vivente di un uomo è la sua passione per l'avventura. La gioia della vita proviene dai nostri incontri con nuove esperienze e, quindi, non c'è gioia più grande che avere un orizzonte che cambia incessantemente, per ogni giorno avere un nuovo e diverso sole. Se vogliamo ottenere di più dalla vita, dobbiamo perdere l’inclinazione per la nostra monotona sicurezza e adottare uno stile di vita più improvvisato, che in un primo momento ci sembrerà un poco folle. Ma, una volta che ci siamo abituati ad un tale stile di vita, comprenderemo il suo pieno significato e la sua incredibile bellezza. Non fermarsi, non stare seduti in un solo posto. Spostarsi, essere vagabondi, fare di ogni giorno un nuovo orizzonte”.

(Christopher McCandless)*

*Da ...”INTO THE WILD” di Jon Krakauer.











domenica 10 marzo 2013

HUMAHUACA (JUJUY), E I BAMBINI COPLEROS

Sunday 10 March 2013






"Le mani che aiutano, sono più sacre delle bocche che pregano."
(Sai Baba)



Piazzale della Terminal de Autobuses.


























Uno scorcio della nostra cameretta, nell'Hostal La Soñada, uno dei più belli, fra quanti abbiamo visitato.



























La stessa camera, vista dalla porta d'ingresso.






































Uno scorcio del bel patio, con in primo piano una rigogliosa pianta di vite.


























L'uva quasi matura.



















Una zona della sala soggiorno-pranzo. Angela al lavoro con il suo PC portatile.



La parte del patio che si vede dalla porta su strada.





La facciata esterna dell'Hostal.










Un'altra zona del soggiorno-pranzo.




























































































Humahuaca è un pueblo di circa 6.000 anime in parte quechua; è il più popolato fra Jujuy, capoluoguo di provincia, e la frontiera con la Bolivia, ma anche il più autoctono, perché si mantiene relativamente chiuso all'ingresso di altra gente; 

ed è quello a più alta densità culturale, l'ultimo insediamento prima di arrivare a la Puna, il più esteso altipiano del mondo, compreso fra Argentina e Cile, Bolivia e Perù.
Costruito in adobe, il paese si stringe attorno alla sua chiesa, dedicata alla madonna della Candelaria (elevata nel 1641), al Cabildo (municipio) con una torre campanaria dotata di orologio, e a una piazzetta con qualche pianta. Ogni mattina al rintoccare delle dodici, da una nicchia sotto l'orologio esce l'immagine di San Francesco Solano che benedice i trepidanti visitatori.

La torre campanaria con la nicchia del Santo















Sarà stato intorno alle tre del pomeriggio; eravamo seduti in un piccolo ristorante, vicino alla porta aperta che dà sulla strada, quando è entrato questo fanciullo: viso pulito, occhi vivaci, espressione fresca e intelligente.
Con incredibile disinvoltura ci ha chiesto di poter cantarci una copla (breve composizione poetica in strofe, che viene recitata o cantata), in cambio di un poco di denaro.
Di fronte a tanto "sfacciato" candore, abbiamo acconsentito, chiedendo alla dueña del ristorante di spegnere per favore l'impianto stereo, che stava diffondendo musica andina.
Il ragazzino ha cominciato, ma la sua "professionalità"  non era all'altezza della sua faccia tosta e, più che cantare, ci ha recitato alcune strofe, in uno spagnolo frettoloso, poco comprensibile anche per gli ispanofoni.
Tutti lo abbiamo applaudito ugualmente, ricompensandolo poi con una manciatina di pesos.
Ha salutato, togliendosi il berrettino, e se n'è andato contento.




Yo jamàs fui un niño

Mi sonrisa es seca y mi rostro es serio,
mis espaldas anchas, mis musculos duros
mis manos partidas por el crudo frio;
solo ocho años tengo, pero no soy un niño.

Detrás de mis ovejas ando per el cerro
Y cargau mi leña bajo hasta mi puesto
A soplar el fuego, a mismiar mi soga;
Y no tengo tiempo para ser un niño.

Los años caminan y todo es lo mismo,
moti, sal con lechi son mis caramelos,
mi juguete un chivo o el pastor ovejero
poco tiempo tengo, pero no soy un niño.

Mi avión de juguete es un cuervo viejo,
mi camión un burro de trotar muy lento,
mi amigo es el zorro, que roba mis cabras
y es todo mi consuelo, de poder ser niño.                                           

Mi rostro es de viejo y mi andar de abuelo,
mis callos partidos por piedras del cerro,
mi poncho rotoso, por el fuerte viento,
todo eso me dice, que no soy un niño!

Y no hay reyes magos,
no hay días del Niño,
jamas tuve suerte
de poder ser niño.
(Fortunato Ramos)


Io non sono mai stato un bambino

Il mio sorriso è secco e il mio viso serio,
le mie spalle larghe, i miei muscoli duri;
le mie mani screpolate per il crudo freddo,       
ho solo otto anni, ma non sono un bambino.

Dietro alle mie pecore vado per il monte
E caricata la mia legna, scendo al mio rifugio
A soffiare sul fuoco, a ……. la mia corda,
e non ho tempo per essere un bambino.

Gli anni camminano e tutto è lo stesso,
….., sale con latte sono le mie caramelle,
il mio giocattolo una capra o il cane pastore,
ho poco tempo, ma non sono un bambino.

La mia faccia è da vecchio e il mio andare da nonno,
i miei calli tagliati dai sassi del monte,
il mio poncho cencioso per il forte vento,
tutto questo mi dice che non sono un bambino.

E non ci sono Re Magi,
non ci sono Giorni del Bambino,
mai ho avuto la fortuna
di poter essere bambino.



Non erano passati dieci minuti, stavamo ancora conversando sull'intraprendenza di quel bambinetto, quando è apparso sulla porta un secondo ragazzino, El Còquena (Cuidador de vicuñas = pastore di vigogne). 
Leggermente più scuro di pelle, viso intelligente ma "sofferto", con un'espressione di persona più adulta della sua apparente età; forse "invecchiato", suo malgrado, anzitempo.
"Si sono passati la voce", abbiamo pensato, ma alla sua medesima richiesta, di cantarci qualche copla, abbiamo ancora una volta accettato.
Il ragazzino si è esibito, con sorprendente maestria e con bella voce, prima in un canto molto triste, poi nella recitazione di una poesia, con una professionalità  e spontaneità da fare invidia a molti attorucoli della nostra T.V. 
Anch'egli è stato applaudito da tutti, ha salutato con un inchino, e se n'è andato con il suo gruzzoletto, raccolto in precedenza tra i presenti, con il suo cappelluccio.
La sera successiva è ricomparso all'ora di cena: lo abbiamo invitato al nostro tavolo.
In seguito abbiamo poi chiesto, a chi lo conosceva, quanti fratellini avesse: ci hanno detto .... molti, ma non hanno saputo precisare il numero.
Questo è il Coquena (soprannome) e questa è la poesia che ci ha recitato. Noi abbiamo cercato di tradurre all'italiano: sembra il suo ritratto.


















































































































































































































































































































































































































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