Il blog di Angela e Giorgio
fotografi erranti, dalle Americhe all'Asia, alla ricerca di istanti di Bellezza da catturare e raccontare

Ideazione e progetto grafico: Monica eFFe

Traduzioni all'inglese: Sara Russell e Monica eFFe




“Il vero nucleo di base dello spirito vivente di un uomo è la sua passione per l'avventura. La gioia della vita proviene dai nostri incontri con nuove esperienze e, quindi, non c'è gioia più grande che avere un orizzonte che cambia incessantemente, per ogni giorno avere un nuovo e diverso sole. Se vogliamo ottenere di più dalla vita, dobbiamo perdere l’inclinazione per la nostra monotona sicurezza e adottare uno stile di vita più improvvisato, che in un primo momento ci sembrerà un poco folle. Ma, una volta che ci siamo abituati ad un tale stile di vita, comprenderemo il suo pieno significato e la sua incredibile bellezza. Non fermarsi, non stare seduti in un solo posto. Spostarsi, essere vagabondi, fare di ogni giorno un nuovo orizzonte”.

(Christopher McCandless)*

*Da ...”INTO THE WILD” di Jon Krakauer.











domenica 10 marzo 2013

IRUYIA (JUJUY), TERRA DI CAPRE E POCHI UOMINI

Sunday 10 March 2013





"L'avventura non esiste. È nella fantasia di chi la insegue e, non appena riesce a toccarla con un dito, svanisce per fare capolino da tutt'altra parte, sotto una diversa forma, ai limiti dell'immaginazione".
(Pierre Mac Orland)








Già a Salta e poi in seguito a Humahuaca, sia negli uffici d'informazione turistica, sia le persone con le quali avevamo avuto modo di conversare, ci avevano fatto elogi sperticati di questo pueblo, "molto particolare".
A 36 km da Humahuaca, Iturbe, un tempo importante stazione ferroviaria

Anche tutte le informazioni cartacee in nostro possesso ne tessevano le lodi con entusiasmo e in maniera molto convincente.
Per questo non abbiamo avuto dubbi o titubanze, di fronte alla difficoltà del viaggio, per tre/quarti su strada bianca, con una corriera assai malmessa, se non precaria.
Forse perché, quando l'aspettativa è grande, la realtà finisce poi sempre per deluderti ...
Abbiamo comperato il biglietto dell'autobus il giorno prima, per avere un posto in "prima fila"; ma, con sorpresa, il numero non corrispondeva poi al sedile immaginato.
L'autobus, assai sgangherato, parte comunque puntualissimo alle 8:15 (ora prevista d'arrivo a Iruya 11:20) esce dalla città e prende verso nord per la Ruta 9.
La strada è ampia e asfaltata e il viaggio relativamente comodo, nonostante la qualità del mezzo il quale, dopo una ventina di chilometri, abbandona la Ruta 9, gira a destra e imbocca una stradetta polverosa in ghiaia (Ruta 13, poi Ruta 133) che non lascia bene sperare. 


















Le rotaie, semisepolte dalla polvere.



























Torre per il rifornimento dell'acqua alle locomotive a vapore


L'avanzare dell'autobus si fa molto lento e s'inoltra sempre più in un paesaggio montagnoso arido, fatto di colline moreniche con pochissima vegetazione. Man mano che avanziamo, il territorio si fa sempre più brullo e la strada, polverosa e piena di buche, si snoda in mezzo a colline e montagne di sassi e pietre, con assenza quasi totale di verde; le uniche piante visibili dall'autobus sono gli enormi cactus (cardones), che richiamano visioni di pellicole western. Poi comincia a salire serpeggiando e l'autobus rallenta 

Uno dei tanti punti della strada, interrotta dai torrenti che scendono dalle montagne; quando l'acqua è bassa gli automezzi attraversano a guado.





Siamo nel mezzo del guado
ancor più la sua marcia, procedendo tra pietraie e sassaie, sassaie e pietraie, per chilometri e chilometri, con lunghi tratti a passo d'uomo. Si sale, si sale senza sosta, per tornanti e contro tornanti a gomito, a volte sull'orlo del precipizio, e, quando si arriva alla vetta, si ricomincia a discendere a valle, di nuovo aggirando la montagna, con curve e contro curve interminabili. Questo salire e scendere si ripete più volte (passando dai circa tremila ai circa mille metri d'altura), mentre il profilo dell'orizzonte muta incessantemente.
Un altro dei tanti torrenti che abbiamo incontrato lungo il cammino.

In questo territorio, praticamente privo di vegetazione, durante i rari, violenti temporali, l'acqua acquista una velocità inaudita, formando torrenti che scavano il loro percorso in mezzo alle rocce e ai sassi e attraversano la strada, priva di ponti, per poi esaurirsi rapidamente; non si esaurisce invece il flusso di acqua alimentato da sorgenti o dallo sciogliersi delle nevi dei ghiacciai.
Cosicché, quando gli automezzi arrivano a questi fiumetti residui, devono guadarli, entrando con le ruote nell'acqua, che a volte arriva a toccare il fondo dell'automezzo. Ne abbiamo attraversati tanti.
Un povero insediamento umano.

Di tanto in tanto incontriamo qualche piccola zona meno arida, dove cresce un tipo di vegetazione bassa, stepposa; e lì che si possono vedere piccoli gruppi di guanachi che pascolano, o anche famigliole di ñandù (nandù: grande uccello inetto al volo, simile allo struzzo), dei quali non è dato sapere cosa trovino da mangiare in quel territorio semi lunare.
Sassaie a perdita d'occhio.
Anche se il viaggio è molto disagevole, rappresenta comunque la parte più interessante di questa escursione alla cittadina di Iruya la quale, come già abbiamo detto, ci ha alquanto delusi. 
Qui siamo  a circa tremila metri, più in alto delle nuvole.

Uno dei tanti tornanti a U; meno pericoloso, perché il dirupo è all'interno della curva
Si tratta di un piccolo pueblo, abbarbicato da un lato ad un costone di montagna e sospeso dall'altro sul bordo del canyon, formato da tre quattro stradine con pavimentazione di sassi, sconnessa e mal tenuta; una piccola piazzetta all'ingresso del pueblo, con una deliziosa  chiesetta; numerose casette con un qualche interesse architettonico tradizionale.
Uno dei tanti giovani cicloturisti, incontrati su tutte le strade del continente










Paese di capre e di ex caprai; tutto qui.
Però è doveroso dire che, forse, la delusione deriva in parte dal fatto che il giorno della nostra visita non era giorno di feria, quando nelle poche stradine e nella piccola piazza si riversano tutti gli ambulanti e gli artigiani per vendere le loro mercanzie.





Fra pochi chilometri entreremo nella nuvola, per ridiscendere a valle; a sinistra il precipizio.






Siamo arrivati. Questa è la fermata degli autobus, vista dalla parte opposta alla direzione d'arrivo, dove la corriera si è posizionata, dopo una complicata manovra d'inversione di marcia, a causa della strada stretta, tra montagna e precipizio.




Zona Urbana. Il cartello fa un po' sorridere; ma ne abbiamo visti altri, in luoghi dove c'erano due/tre baracche di legno e adobes.






La semplice, graziosa chiesetta; ancor più bella dentro.






Finestra che da sul patio interno del complesso della Parrocchia

























Il nuovo, moderno ospedale, in calle San Martin



Una delle ripide stradine in empedrado.





Ingresso ad una modesta abitazione, in parte ancora in adobe.





Insegna di uno dei molti ristorantini improvvisati.







La povera dimora, in sasso e adobe, di uno degli artigiani locali.



Pittoresca insegna di una "casa famiglia":specie di B&B.


Altro B&B 







Toponomastica: calle Retiro



Uno dei vari comedores, ristorantini a conduzione familiare


B&B




Anziana Aymara in costume tipico



Altra anziana Aymara







Vista della calle San Martin dall'alto, verso la piazzetta della chiesa




Giovane Aymara, con l'immancabile neonato


Non sempre i "nativi" (autoctoni; vale a dire la totalità della popolazione), sono accoglienti; anzi a volte si mostrano alquanto aggressivi.
Ingrandendo la foto, si può notare che la "signora" ci ha appena scagliato un sasso; anche se l'obbiettivo non era espressamente puntato su di lei.

Hospedaje El Condor (Wichiku); uno dei tanti nidi d'aquila, trasformati in alloggio per turisti.



Immagine della Vergine del Rosario: in azulejos, nella piazzetta a Lei dedicata.


Bambina e nonna Aymara: due mondi. 



L'accesso ad una delle casette più "borghesi"



Un'altra delle erte stradine assai sconnesse


Ingresso al Parque Nuestra Señora del Rosario, di proprietà della Parrocchia


Coppia di indios in Calle San Martin. 



I bambini possono giocare nelle strette stradine, quasi tutte solo pedonali.




La passerella sospesa a funi d'acciaio, inaugurata di recente, per  collegare le due sponde del canyon.  

























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