Il blog di Angela e Giorgio
fotografi erranti, dalle Americhe all'Asia, alla ricerca di istanti di Bellezza da catturare e raccontare

Ideazione e progetto grafico: Monica eFFe

Traduzioni all'inglese: Sara Russell e Monica eFFe




“Il vero nucleo di base dello spirito vivente di un uomo è la sua passione per l'avventura. La gioia della vita proviene dai nostri incontri con nuove esperienze e, quindi, non c'è gioia più grande che avere un orizzonte che cambia incessantemente, per ogni giorno avere un nuovo e diverso sole. Se vogliamo ottenere di più dalla vita, dobbiamo perdere l’inclinazione per la nostra monotona sicurezza e adottare uno stile di vita più improvvisato, che in un primo momento ci sembrerà un poco folle. Ma, una volta che ci siamo abituati ad un tale stile di vita, comprenderemo il suo pieno significato e la sua incredibile bellezza. Non fermarsi, non stare seduti in un solo posto. Spostarsi, essere vagabondi, fare di ogni giorno un nuovo orizzonte”.

(Christopher McCandless)*

*Da ...”INTO THE WILD” di Jon Krakauer.











lunedì 30 giugno 2014

RAPA NUI: UN EQUILIBRIO FRAGILE


Post in attesa di pubblicazione

RAPA NUI: IL CULTO DELL'UOMO UCCELLO

Dal 24 al 27 giugno 2014





Chi non viaggia non conosce il valore degli uomini.
 (Proverbio arabo)



Il culto tangata manu o dell’uomo-uccello, a Rapa Nui


Si praticava nel villaggio cerimoniale di Orongo, sulla punta estrema dell’isola, fra il cratere del vulcano Rano Kau e uno strapiombo sul vuoto. Di fronte, in basso sull’Oceano, si trovano tre isolotti Motu Nui (Grande Isola), Motu Iti (Piccola Isola) e Motu Kao Kao.































Il culto dell’uomo-uccello risale all’ultima fase della società Rapa Nui (XVII-XIX secolo), quando quello dei moai stava tramontando; permise, dopo guerre e rivolte, di arrivare alla rotazione del potere temporale e spirituale fra le tribù in guerra, da sempre sottomesse alla stirpe dei Miru.
Una volta l’anno, fra luglio e settembre, re, sacerdoti, rappresentanti delle tribù si incontravano a Orongo, per eleggere l’uomo-uccello, fra i rappresentanti dei diversi clan. 





















Luoghi dove risiedevano tutti coloro che presenziavano alle diverse fasi della cerimonia dell'uomo-uccello



















Ogni hopu manu o servitore nominato dal suo capo-clan doveva nel mese d’agosto gareggiare con gli altri raggiungendo a nuoto l’isolotto di Motu Nui, lottando contro le correnti e gli squali. Dopo giorni o settimane d’attesa, se il servitore aveva trovato un uovo (di fregata, sterna, o manutara) depositato su uno dei tre isolotti, se lo legava in fronte e riprendeva la via del mare, per consegnarlo intatto al suo capo, dopo avere superato un’altra prova: scalare una falesia si 300 metri.






Alla nomina di uomo-uccello, il vincitore si rasava testa, sopracciglia, ciglia e si dipingeva di rosso. Per un anno era considerato discendete del Rano Kau, era festeggiato con vari rituali, poi recluso; e salvo un sacerdote che gli portava del cibo, nessuno poteva vederlo, avvicinarlo, toccarlo; non poteva lavarsi, ma dopo un anno gli era data come premio una giovane vergine, che era stata segregata per un anno in una grotta così che la sua pelle assumeva il colore della luna.
Quando moriva, gli altri tangata manu praticavano una cerimonia con galli e piume, evocando lo spirito immortale del defunto, ma nel 1876 i missionari vietarono queste cerimonie.


A Orongo, incisi su varie rocce, ci sono più di 400 petroglifi con il corpo di uomo e la testa di uccello o con il volto di Make-Make, dio creatore di ogni cosa, secondo i Rapa Nui.






















































Cratere del Vulcano Rano Raraku, a sud est dell'isola, molto vicino alla costa; è conosciuto come la cantera, perché qui si scolpivano i
moai, che poi si portavano sulle piattaforme o ahu.








L'OMBELICO DEL MONDO

Dal 24 al 27 giugno 2014




Viaggio, spero di non arrivare mai.
 (Max Serra)



L’ombelico del mondo si trova a Rapa Nui


Dice Huki, archeologo dell’Isola di Pasqua, che: Te-Pito-Te-Henua, in lingua Rapa Nui, significa proprio «ombelico del mondo». «Su una spiaggia dell’isola - spiega Huki - c’è una grossa pietra tonda che, secondo la leggenda, è caduta dal cielo all’inizio dei nostri giorni, mandata dalla divinità ancestrale dei nostri antenati, il Make-Make, il creatore del mondo». 


















La particolarità della pietra, a cui si può accedere liberamente, risiede nel fatto che, in ogni momento della giornata e in qualunque condizione atmosferica, emana un calore costante. Per questo motivo, è considerato, non solo dai nativi ma anche da vari studiosi stranieri, uno dei centri di energia del pianeta, a conferma del suo nome. 



























Huki si sofferma poi su un altro grande mistero di Rapa Nui: il trasporto dei moai. È certo che essi furono «fabbricati» alle pendici del vulcano, con pietra nera per il volto e rossa per l’eccentrico cappello pukao; ma come sono arrivati sulle coste del mare? 




L’ipotesi che noi studiosi diamo per favorita è questa: ogni moai è stato scolpito con le rocce del vulcano, poi è stato deposto su grossi tronchi d’albero e fatto rotolare a valle fino al luogo desiderato. 
Un’opera ingegnosa, soprattutto se si pensa a quante persone dovevano lavorare all’unisono. «Diverse centinaia, forse migliaia» aggiunge l’archeologo. 












Ma chi rappresentavano queste figure dal volto lungo e stretto e le orecchie da gigante? «Sono tumuli funerari alti da 5 a 7 metri (o più), eretti in memoria degli antenati delle varie famiglie, spiega Huki. Alla loro morte, le statue, fatte a loro sembianza, venivano poste a poche decine di metri dal mare, rivolte verso l’interno, per essere venerate e come strumento di protezione dal mare e dagli attacchi esterni».


LA SCRITTURA RAPA NUI - RAPA NUI WRITING

Dal 24 al 27 giugno 2014




La scrittura Rapa Nui 

E’chiamata Rongo Rongo, ed è fra le otto al mondo non decifrate. E’ importante, perché è l’unico sistema ideografico, composto di segni fonetici; segni parola; segni specificatori del significato; polifunzionali; segni polifonici (con più di una lettura fonetica possibile). Questo sistema è stato creato fra il 1770 e il 1860 in Oceania e Polinesia, ed è il frutto geniale degli abitanti di Rapa Nui.
Nel 1864 una lettera di Eugène Eyraud, missionario francese che fu fra i primi a stabilirsi sull’isola, ne descrive le condizioni e menziona per la prima volta la scrittura Rongo Rongo. 
Nel 1868, alla sua morte, i Rapa Nui inviarono al vescovo di Tahiti, Tepano Jaussen, un omaggio che conteneva un asse di legno, coperta da geroglifici. 
Il vescovo si appassionò alla scrittura e cercò di raccogliere tutte le tavolette rinvenute, e qualcuno in grado di leggerle. 
La maggior parte delle tavolette era stata distrutta dopo la conversione al cattolicesimo, nascoste o utilizzate per gli scopi più diversi, poiché pochi erano in grado di capirle. 
Il vescovo riuscì a impossessarsi di 4 tavolette:  A,  B,  C (calendario lunare), E .
Tutte tranne la E sono ancora conservate a Roma. 
L’analisi del Calendario lunare ha permesso di individuare con la massima verosimiglianza l’impiego di logogrammi, fonogrammi, composizioni pittografiche, tipologicamente simili a quelli presenti nelle scritture sumerica e cinese. 
Alcune delle tavolette sono di materiale legnoso, ma di piante che non crescono sull’isola, forse i supporti furono creati con relitti delle navi occidentali, o con materiali entrati in possesso degli isolani dopo i contatti con gli europei. 
La lingua Rapa Nui dal 1975 e’ insegnata nel primo ciclo della scuola elementare.

***
The Rapa Nui writing system is called rongo rongo, and is among the eight as-yet un-deciphered writing systems in the world. Of these, it is the only ideographic system composed of phonetic symbols, word symbols, symbols that specify meaning, poly-phonic symbols (with more than one possible phonetic interpretation). This system was created in Oceania and Polynesia between 1770 and 1860, fruit of the genius of the Rapa Nui.
An 1864 letter by Eugène Eyraud, a French missionary who was among the first Europeans to settle on the island, describes the condition of the island and is the first to mention the rongo rongo writing system. Upon his death in 1868, the Rapa Nui sent a gift in his honor to the bishop of Tahiti, Tepano Jaussen, containing a wooden board covered in hieroglyphics. The bishop became enamored by the writing and attempted to gather all the available tablets and someone who could interpret them for him. However, most of the tablets had been destroyed after the conversion to Catholicism. The remainder had been either hidden or used for a very wide variety of purposes, as so few people were able to read them.
As a result, the bishop was able to obtain only four tablets, referred to as A, B, C (lunar calendar) and E.
The analysis of the lunar calendar has allowed scholars to identify the use of logograms, phonograms and pictographic compositions which are typologically similar to those in the Sumerian and Chinese writing systems.
Some of the tablets are from a wood-like material obtained from plants that are not native to the island. It is possible that they were created out of wrecked ships belonging to European explorers or out of materials the islanders obtained through other contact with Europeans.
Beginning in 1975, the Rapa Nui language has been taught in the first level of elementary school.

QUI RAPA NUI DUE - HERE RAPA NUI, PART II

Dal 24 al 27 giugno 2014





Non smetteremo di esplorare. E, alla fine di tutto il nostro andare, ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta.
(T. S. Eliot)
(We shall not cease from exploration, and the end of all our exploring 
will be to arrive where we started and know the place for the first time.)




L’origine dei Rapa Nui e della loro società.

L’ipotesi, oggi più accreditata, è quella che li considera discendenti dai grandi navigatori della Polinesia orientale. Questi uomini non si preoccupavano di restare in mare per due o più settimane; avevano un’incredibile conoscenza del cielo notturno, riuscivano a tracciare una rotta con le stelle, usando tecniche ancora oggi utilizzate nel Pacifico. Lasciarono 5000 anni fa le isole Marchesi (oggi Polinesia francese) e peregrinarono in un vasto “triangolo”, segnato a nord dalle Hawaii, a sud-ovest dalla Nuova Zelanda e a sud-est dall’isola di Pasqua, area nella quale pare si stabilì fra il 300 e l’800 d.C. Si spostavano con canoe a doppio scafo, vere “arche di Noè”, piene di donne bambini piante e animali.

24-27 June, 2014

The origin of the Rapa Nui people and culture



The most credible hypothesis is the one that considers these people to have descended from the great seafarers of eastern Polynesia. These men were not afraid to travel by sea for over two or three weeks. Their great knowledge of the night sky allowed them to trace their route according to the stars, using techniques still today in use in the Pacific Ocean. 5000 years ago, they left the islands known today as French Polynesia and wandered around a vast “triangle” marked in the north by the Hawaiian islands, in the southeast by New Zealand and in the southwest by Easter Island, where it seems that they settled around 300-800 A.D. They traveled in impressive canoes, veritable “Noah’s arks” laden with women, children, plants and animals.








Una delle leggende più accreditate narra di un re polinesiano, mitico eroe Hotu Matu’a, che, sconfitto nel suo paese, approdò con la moglie Avareipua e il seguito a Rapa Nui, fondando la prima dinastia (tra il V e il IX secolo d.C.) I suoi sei figli diedero origine alle principali tribù (mata).
Come si è evoluta la società Rapa Nui non è chiaro, per via della perdita di preziose testimonianze orali dei maori ronga ronga, come spieghiamo in seguito.
Popolata l’isola, ci fu una fase chiamata ahu mohai, a cui corrispondono la spartizione dei terreni  fra le diverse tribù, e la  costruzione di circa  1680 moai, le grandi statue in pietra vulcanica per cui è famosa. Gli arichi (re) discendevano tutti dalla tribù Miru, la più importante. Sappiamo che la terra era coltivata a frutta e verdura con un sistema di orti protetti da pietre; che la pesca era praticata e che esistevano tabù che impedivano di alimentarsi con certi frutti e pesci, per preservarli dall’estinzione.
La deportazione nel 1863 dei maori rongo rongo, depositari della tradizione, ad opera di mercanti di schiavi peruviani, ha provocato la perdita del patrimonio culturale degli autoctoni.
Solo loro comprendevano il significato delle tavolette scritte in rongo rongo (note dal XIX secolo), l’unica forma di scrittura oceanica conosciuta, composta da segni mnemotecnici, senza alcun rapporto con la lingua parlata.
Le ricerche archeologiche affermano che il momento di maggior splendore della società Rapa Nui fu quello classico (fra l’800 d.C. e il 1680), durante il quale si costruirono enormi centri cerimoniali e produssero le grandi statue monumentali (moai), create per rappresentare gli antenati importanti di ogni tribù. Collocati su grandi piattaforme, i moai protessero i Rapa Nui per 800 anni.

***

One of the most credible legends tells of a Polynesian kind, the mythical hero Hotu Matu’a, who was defeated in his own country and set sail with his wife Avareipua and their following for Rapa Nui. There they established the first dynasty between the fifth and ninth centuries A.D. Their six children gave rise to the island’s main tribes.
It is not entirely clear how the Rapa Nui culture evolved through the ages, because much of the precious oral testimony of the Maori Rongo Rongo was lost, as we will go on to explain.
Once the island was people, there was a stage referred to as ahu mohai, in which land was divided among the various tribes, and the great volcanic statues called moai, about 1680 in number, were built. It is these statues that make the island famous. The kings were all descendants of the Miru tribe, the most prestigious tribe of the island. We know that fruit and vegetables were grown within a system that used rocks as a means of protecting fields and plots. Fishing was prevalent as well, and a series of taboos forbidding the consumption of certain varieties of fruit and fish protected those species from extinction.
The deportation in 1863 of the Maori Rongo Rongo, guardians of the tradition, at the hands of Peruvian merchants, led to the loss of the island’s indigenous cultural heritage.
They alone were able to read the tablets written from the ninth century onward in rongo rongo. This was, as far as anyone can establish, the only from of writing in the Pacific Islands and was composed of mnemotechnical signs that bore no relationship to the spoken language.
Archaeological studies have established the apex of Rapa Nui culture was the classical age between 800 and 1680 A.D., when large ceremonial center and imposing monumental statues (moai) were built. These statues were created to represent each tribe’s main ancestors. Situated on large platforms, the moai stood protectively over the Rapa Nui people for 800 years.

















I conflitti che esplosero poi fra tribù e dinastie durarono due secoli e portarono lentamente all’abbattimento dei moai e alla nascita del culto al Tangata Manu o uomo uccello, fra il 1680 e il 1864.



La decadenza della civiltà dell’isola cominciò prima dell’arrivo degli europei, ma questi approfittarono delle lotte interne per prendere possesso dell’isola. Dopo gli olandesi, anche spagnoli, inglesi e francesi cercarono di introdurre nuove piante e animali.






QUI RAPA NUI - HERE RAPA NUI

Dal 24 al 27 giugno 2014.





Un viaggiatore che non osserva è come un uccello senza ali.
(Moslih Eddin Saadi)
(A traveler who does not observe is like a bird without wings.)





Rapa Nui (o“Te Pito Te Henua”... Ombelico del Mondo), è una piccola isola dell’Oceano Pacifico, nata da grandi eruzioni. Misura 23 km di lunghezza, per 12 di larghezza (173 km quadrati).  
La sua forma triangolare è il risultato dell’attività dei tre principali vulcani (e altri 70 secondari): il Poike, sul lato est, raggiunge  460 metri sul livello del mare, eruttò, circa 3 milioni di anni fa; il Rano Kau, zona sudorientale, che misura 300 metri e si formò 2,5 milioni di anni fa: il Terevaka, a nord, 510 metri sul livello del mare, il più giovane, che ha circa 300.000 anni, ed è il punto più alto dell’isola.

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Monday, June 30th, 2014

June 24-27, 2014.

Rapa Nui, also known as “Te Pito Te Henua” (the belly button of the world), is a small island in the Pacific Ocean born out of large volcanic eruptions. It is 23 kilometers long and 12 kilometers wide, a total of 173 square km.  
Its triangular shape is due to the activity of its three main volcanoes, along with 70 secondary volcanoes. Let’s take a look at these three main ones. Poike, on the eastern side, whose peak reaches 460 meters above sea level, erupted about 3 million years ago. Rano Kau, in the southeast, is 300 meters and was formed two and a half million years ago. Terevaka, in the north, is 510 meters above sea leve. About 300,000 years old, it is the youngest of the three volcanoes, and is the highest point of the island.


MAPPA


Rapa Nui appartiene alla Polinesia, un’area definita da un triangolo immaginario i cui vertici comprendono anche Nuova Zelanda e Hawai, triangolo nel quale si trovano isole accomunate dalla stessa tradizione culturale, le cui origini risalgono al secondo millenio  A.C.
“Dal XIX secolo i suoi abitanti la chiamarono Rapa Nui (Grande Terra), nome coniato dai marinai tahitiani che la ritenevano somigliante all’isola di Rapa, in Polinesia...” .
In lingua spagnola è detta Isla de Pascua. Dal 1888 fu annessa al Cile, oggi è una provincia della Regione di Valparaiso.
Rapa Nui è il nome dell’isola, dei suoi abitanti e della lingua da loro parlata.
Si trova a 3747 km dalla città di Concepcion in Cile, a oltre 2000 km dalle Pitcairn, un arcipelago di quattro isole, territorio britannico d’oltre mare, nel Pacifico meridionale; a 3400 ca. da Rapa, oltre 3641 dalle Marchesi, 3400 dalle Galapagos e a migliaia di miglia di distanza da altre regioni abitate. 




*!!! Mappa con le varie distanze



Il nome inglese di Easter Island, dal quale deriva l’italiano Isola di Pasqua, è legato al giorno di Pasqua del 1722 (5 aprile), quando sbarcò sull’isola il primo europeo, l’olandese Jakob Roggeveen. Nel 1774 due imbarcazioni di James Cook si avvicinarono alle sue coste, il capitano sbarcò con alcuni uomini e fece una prima ricognizione, ma dopo quattro giorni decise di ripartire. Cook, da scaltro osservatore qual era, avrebbe potuto descrivere minuziosamente “quella briciola” di terra, la sua cultura e il suo declino (dopo il 1500 d.C. non si costruirono più le grandi statue per cui è famosa), ma non andò così.
L'Isola di Pasqua è la più isolata fra le terre abitate. E’ “un granello di terra minuscolo … che ha dato vita a una delle culture preistoriche più affascinanti e misteriose …”  E’ il museo all’aperto più grande del mondo, con i suoi giganti o moai (887, scolpiti in pietre quali traquita, toba, basalto), ma è probabile che altri  siano ancora sepolti nel cratere Rano Raraku, moai tutti diversi fra loro, parte dei quali (288) furono innalzati sugli ahu (piattaforme, in grado di reggerne da uno a quindici).
Dal 1995 l'isola di Pasqua fa parte del patrimonio dell' umanità, tutelato dall'Unesco.

























































































BIENVENIDOS A CHILE

28 giugno 2014




Oh Grande Spirito, preservami dal giudicare un uomo (non) prima di aver camminato un miglio nei suoi mocassini.
 (Preghiera Apache)
(Oh Great Spirit, preserve me from judging a man without having first walked a mile in his mocassins). 
(Apache prayer)




A: Come ti maltratto il turista.

B: Come ti scarico il turista danneggiato.



POST IN ATTESA DI PUBBLICAZIONE

(POST IS AWAITING PUBLICATION)


domenica 22 giugno 2014

CON LA TESTA NEL PALLONE ...





SOCCER ON THE MIND ...




Chi teme ogni nube, non parte mai. 
(P. Morand)
(He who fears ever cloud never departs)





... per via di una palla che rotola, per la quale non solo le tre Americhe impazziscono, in occasione di questo Campionato che vedrà, forse, il "Nuovo Mondo" stravincere, umiliando la vecchia Europa.

D'altra parte, anche in Cile, i giovani vogliono sopra ogni altra cosa imporsi, guadagnarsi un posto al sole, e se le inventano tutte, non si arrendono.




Gran vociare della carta stampata, e degli schermi televisivi che giorno e notte macinano interviste a giocatori o vecchie glorie del calcio, registrazioni di incontri, nuove partite con replay, ma la vita qui a Santiago, in una domenica grigia e senza sole, pare farsene una ragione. Va mollemente come può, fra percorsi in bicicletta o a piedi, messe e processione del Corpus Dominivisite ai vari Musei della città, oggi  pieni di gente, forse perché tutti a ingresso libero, caffè e ristoranti stracolmi.

Because of a ball that rolls, the three Americas go wild on the occasion of this World Cup championship, which is likely to see the “New World” triumph, humiliating old Europe.
Yet, even in Chile, young people want nothing more than to earn their place in the spotlight. They are very resourceful and tenacious in their attempts to pursue their goals.
A loud background noise continually emanates both in print and on the television screens which constantly show interviews of today’s players and the champions of bygone years, new matches, replays, and so on, but the locals here in Santiago, on this grey sunless Sunday, seem to come to terms with all of it.They proceed along their business as best they can, by bike or on foot, to masses and processions for the Corpus Domini, to the city’s various museums, today teeming with people due to the free admission, and cafes and restaurants, which seem literally to burst with people.




























































L'infiorata che gruppi di giovani stanno preparando in 21 de Majo, nei pressi di Plaza de Armas. Salgamos a callejear la Fé ..., (usciamo a passeggiare la fede) dice la scritta a petali.









Come dice il logo, questo Museo racconta la storia del Cile, da quando cominciò a popolarsi fino al 1973.































La fondazione di Santiago, il 12 febbraio 1541, ad opera dello spagnolo Pedro de Valdivia.






























sabato 21 giugno 2014

SANTIAGO, INVERNO AUSTRALE 2014


20 giugno 2014



CON LA TESTA FRA LE NUVOLE - HEADS IN THE CLOUDS

Ovvero come viaggiare in aereo da Bologna a Santiago del Cile, impiegando 24 ore, passando da 30 gradi (giugno, estate) ai 5/10 gradi (giugno/inverno) e  perdendo tutto.





Un viaggio è come il matrimonio. Il modo certo di sbagliare è pensare di esserne in controllo. 
(John Steinbeck)
(A journey is like marriage. The certain way to be wrong is to think you control it)




Infatti è andata così: un’ora dopo lo sbarco del volo Iberia (nunca mas con Iberia; mai più voleremo con Iberia, dicono tutti) nel piccolo e mal organizzato Arturo Merino Benitez International Airport di Santiago ci hanno comunicato che le nostre valigie non erano arrivate, così come quelle di almeno un terzo dei viaggiatori dello stesso nostro volo. Si spera di recuperarle domani, ma poi non andrà così.

Con un mezzo Transvip (biglietto acquistato in aeroporto) arriviamo in centro, dopo avere attraversato una tristissima periferia, fatta di case ad un solo piano, barricate dietro a muretti e cancellate, con filo spinato e vetri anti intrusione, immerse nella nebbia di una giornata d’inverno; dopo aver percorso strade in mezzo a orribili grattacieli, fino ad immetterci nel solito caos delle vie del centro. Siamo nel cuore della città, prima in Santa Lucia, poi nel Barrio Bellavista, para compartir la notte soprattutto con los bohemios santiaguinos, ma anche quello dove abitava (!!!!!) a La Chascona  Pablo Neruda, una delle tante sue case.

Indeed, that’s how it went. In fact, an hour after landing with our Iberia flight (nunca mas with Iberia – never again will we travel with Iberia, we all vowed), in the small and poorly organized Arturo Merino Benitez International Airport of Santiago, we were informed that our luggage, along with that of a third of our fellow passengers, had not arrived. We hoped to retrieve our luggage the next day, but that’s not how things played out.

We arrived downtown by public transportation from the airport and were struck by the very sad outskirts of the city, with drab, single-story housing, barricaded behind little walls and fences, immersed in the fog of this winter day. We then glimpsed awful skyskrapers, a prelude to the chaos of the streets downtown. We were in the heart of the city, first in Santa Lucia, then in the barrio of Bellavista, to spend the night, especially with los bohemios santiaguinos, in the very same barrio where Pablo Neruda had one of his many houses.

Hostal Casa Mosaico, Calle Loreto 109
Ristorante La Signoria, cucina "all'italiana", nel barrio Bellavista.
Clienti del ristorante ... conversano nell' attesa
Prodotti di stagione 












































Belle bariste in minigonna e grandi sorrisi, in un famoso caffè del centro.
 Museo Nacional de Bellas Artes, Salon José Miguel Blanco










































































































































Museo Historico Nacional, Mappa di Santiago, 1600



























































Iglesia Catedral, le cui torri gemelle sono opera dell'italiano Ignazio Cremonesi




























Museo Chileno de Arte Precolombino, nell'antico Palazzo della Dogana Reale, restaurato come Museo dalla Fmiglia Larrain Echenique e dalla Municipalità, e inaugurato nel 1981, al fine di fare conoscere le culture originarie americane.



























































Il Rio Mapocho al tramonto, visto dal ponte Loreto.