Il blog di Angela e Giorgio
fotografi erranti, dalle Americhe all'Asia, alla ricerca di istanti di Bellezza da catturare e raccontare

Ideazione e progetto grafico: Monica eFFe

Traduzioni all'inglese: Sara Russell e Monica eFFe




“Il vero nucleo di base dello spirito vivente di un uomo è la sua passione per l'avventura. La gioia della vita proviene dai nostri incontri con nuove esperienze e, quindi, non c'è gioia più grande che avere un orizzonte che cambia incessantemente, per ogni giorno avere un nuovo e diverso sole. Se vogliamo ottenere di più dalla vita, dobbiamo perdere l’inclinazione per la nostra monotona sicurezza e adottare uno stile di vita più improvvisato, che in un primo momento ci sembrerà un poco folle. Ma, una volta che ci siamo abituati ad un tale stile di vita, comprenderemo il suo pieno significato e la sua incredibile bellezza. Non fermarsi, non stare seduti in un solo posto. Spostarsi, essere vagabondi, fare di ogni giorno un nuovo orizzonte”.

(Christopher McCandless)*

*Da ...”INTO THE WILD” di Jon Krakauer.











lunedì 30 giugno 2014

L'OMBELICO DEL MONDO

Dal 24 al 27 giugno 2014




Viaggio, spero di non arrivare mai.
 (Max Serra)



L’ombelico del mondo si trova a Rapa Nui


Dice Huki, archeologo dell’Isola di Pasqua, che: Te-Pito-Te-Henua, in lingua Rapa Nui, significa proprio «ombelico del mondo». «Su una spiaggia dell’isola - spiega Huki - c’è una grossa pietra tonda che, secondo la leggenda, è caduta dal cielo all’inizio dei nostri giorni, mandata dalla divinità ancestrale dei nostri antenati, il Make-Make, il creatore del mondo». 


















La particolarità della pietra, a cui si può accedere liberamente, risiede nel fatto che, in ogni momento della giornata e in qualunque condizione atmosferica, emana un calore costante. Per questo motivo, è considerato, non solo dai nativi ma anche da vari studiosi stranieri, uno dei centri di energia del pianeta, a conferma del suo nome. 



























Huki si sofferma poi su un altro grande mistero di Rapa Nui: il trasporto dei moai. È certo che essi furono «fabbricati» alle pendici del vulcano, con pietra nera per il volto e rossa per l’eccentrico cappello pukao; ma come sono arrivati sulle coste del mare? 




L’ipotesi che noi studiosi diamo per favorita è questa: ogni moai è stato scolpito con le rocce del vulcano, poi è stato deposto su grossi tronchi d’albero e fatto rotolare a valle fino al luogo desiderato. 
Un’opera ingegnosa, soprattutto se si pensa a quante persone dovevano lavorare all’unisono. «Diverse centinaia, forse migliaia» aggiunge l’archeologo. 












Ma chi rappresentavano queste figure dal volto lungo e stretto e le orecchie da gigante? «Sono tumuli funerari alti da 5 a 7 metri (o più), eretti in memoria degli antenati delle varie famiglie, spiega Huki. Alla loro morte, le statue, fatte a loro sembianza, venivano poste a poche decine di metri dal mare, rivolte verso l’interno, per essere venerate e come strumento di protezione dal mare e dagli attacchi esterni».


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